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Il lato “sonoro” dell’hacking

È una danza sorprendente, un balenare tra circuiti e sinfonie quello che hacking e musica hanno tracciato nel corso della storia. Un percorso parallelo, che ha messo in luce come la tecnologia e l’arte possano fondersi nell’unica armonia della creazione.

 

La storia

Le origini di questa simbiosi sono da rintracciare in luoghi come il Tech Model Railroad Club (TMRC) del MIT, un posto che non era solo un seminario per gli appassionati di modellismo ferroviario, ma anche una vera e propria culla per gli esploratori del suono. Mentre alcuni membri si adoperavano con interruttori e circuiti, altri erano allo stesso tempo, affascinati dalla “creazione sonora”, anticipando così un’era in cui l’alterazione della tecnologia avrebbe portato anche a nuove frontiere musicali. Era un’intersezione, un connubio tra tecnologia e arte, che ha forse gettato le basi per future generazioni di hacker, tra cui gruppi noti come i Cult of the Dead Cow che – pur essendo tra i pionieri nel mondo dell’hacking – aveva legami profondi con la scena underground degli anni ‘80.

È stata una sovrapposizione di mondi, quindi, che ha trovato conferma in documenti come “The hacker manifesto” di John McCarthy, dove un grido di ribellione parla di libertà e conoscenza, da perseguire con uno spirito di sfida e innovazione. Uno modo di vedere le cose che ha trovato eco anche nel parallelo universo musicale, in cui artisti con una profonda passione per l’hacking, si sono avventurati nella manipolazione dei sintetizzatori analogici, spingendosi oltre i confini della composizione classica. Una ricerca incessante di nuove espressioni, sia nel codice sia nella musica, che forse sottolinea una verità fondamentale: nel cuore di ogni hacker c’è un desiderio di esplorare, di innovare e di creare, una passione che risuona profondamente con l’anima del musicista.

John McCarthy, vincitore de premio Premio Turing nel ‘71 per i suoi contributi nel campo dell’IA nonché inventore del termine “Intelligenza Artificiale”, era membro del Tech Model Railroad Club. Inventò tra l’altro il linguaggio Lisp. Ci ha lasciati nel 2011.

 

Sinergia in evoluzione

Nel mondo contemporaneo, il legame tra musica e hacking si è rafforzato e diversificato in modi sorprendenti, alimentato dalle incessanti innovazioni tecnologiche e da una crescente cultura di condivisione e collaborazione. Mentre un tempo gli hacker utilizzavano i primi computer per esplorare le potenzialità sonore, oggi assistiamo a un’era in cui software e hardware opensource dominano la scena musicale elettronica, permettendo una manipolazione del suono mai vista prima.
Gli ambienti di programmazione come Pure Data e Max/MSP hanno permesso ai musicisti di “hackerare” il suono, creando strumenti personalizzati e manipolando l’audio in tempo reale. Tali software, essendo altamente modulabili, sono diventati luoghi di sperimentazione, dove le capacità di un hacker si fondono con la creatività di un compositore. Allo stesso modo, piattaforme come Arduino e Raspberry Pi hanno dato vita a strumenti musicali DIY, interfacciamenti e sintetizzatori, facendo emergere una nuova generazione di “maker” musicali.

 

Democratizzazione

Ma il legame va oltre la semplice creazione di strumenti. La cultura hacker ha influenzato profondamente l’industria musicale anche in termini di distribuzione e accesso. La filosofia opensource, tanto cara al cuore degli hacker, ha stimolato la nascita di piattaforme di streaming indipendenti, software di produzione musicale gratuiti e repository online dove gli artisti possono condividere campionamenti, loop e strumenti. Questa democratizzazione dell’accesso ha portato a un’esplosione di creatività, con artisti provenienti da ogni angolo del mondo che possono ora collaborare, remixare e creare insieme. Infine, il mondo dell’hacking ha influenzato anche il modo in cui la musica viene vissuta. Dalle visualizzazioni algoritmiche che accompagnano la musica elettronica ai festival, alla creazione di ambienti immersivi basati su realtà virtuale e aumentata, la tecnologia sta ridefinendo l’esperienza dell’ascolto. In sintesi, nel panorama attuale, musica e hacking non sono solo intrecciati: sono diventati simbiotici. Insieme stanno ridefinendo i confini dell’espressione artistica, mostrando che, quando tecnologia e arte si fondono, le possibilità sono infinite!

Loyd Blankenship, noto hacker statuinitense, famoso per aver scritto il saggio “La coscienza di un Hacker”, che in seguito diventerà “The Hacker Manifesto”, è un appassionato di sintetizzatori.

 

 


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