In molti pensano che i ransomware divenuti noti questa primavera/estate, Wannacry/Petya/ExPetr e simili, siano ormai passati di moda. Eppure pochi giorni fa la Blockchain ha registrato una transazione relativa a un indirizzo Bitcoin legato a Wannacry… Prima del maggio scorso erano in pochi a conoscere il termine “ransomware”. Il grande pubblico parlava genericamente di malware o di virus, senza avere la minima idea di cosa si trattasse. Poi è arrivato WannaCry e di botto il mondo ha aperto gli occhi e si è reso conto che esiste una minaccia micidiale, in grado di rendere inaccessibili tutti i dati di un computer.
Un ransomware è un malware (generalmente un worm) che fa esattamente quel che il nome promette. Ransom, in inglese, significa riscatto: si tratta quindi di un software che sottrae qualcosa che appartiene all’utente e chiede denaro all’utente per restituirlo. Questo qualcosa sono i dati personali (documenti, foto e via di seguito). Una volta installatosi sul PC bersaglio, il ransomware cifra i file dell’utente o, in alcuni casi, blocca completamente l’accesso al sistema. Dopo aver compiuto il suo sporco lavoro, il ransomware fa apparire una schermata che richiede alla vittima il pagamento di una certa somma (generalmente in Bitcoin) per restituire l’accesso ai dati criptati o bloccati. Una volta effettuato il pagamento, il creatore del malware (forse) sarà tanto gentile da inviare la chiave che permetterà di sbloccare il sistema o decifrare i file.
Ti rimandiamo all’articolo presente nel numero 216 di HJ, il primo del nuovo ciclo. Ma prima di concludere, snoccioliamo qualche dato interessante sull’argomento.
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